[Pannelli fotografici in mostra
durante l'edizione 2009 del Torino GLBT Film Festival,
Immagine scattata il 30 aprile 2009]
durante l'edizione 2009 del Torino GLBT Film Festival,
Immagine scattata il 30 aprile 2009]
Sono passate quasi due intere settimane e la mia lettera aperta alla direzione del Torino GLBT Film Festival non ha ricevuto alcuna risposta, anzi.
Nel frattempo, però, dopo la replica del direttore del Festival alle considerazioni seguite su alcuni portali a tematica GLBT alle sue dichiarazioni rilasciate alla Stampa, hanno preso la parola gli ex programmatori della kermesse Davide Oberto, Ricke Merighi e Cosimo Santoro, che affermano:
Le dichiarazioni di Minerba rilasciate a La Stampa ci lasciano ancora più sconcertati del brutto gesto di cui siamo stati vittime.
Dichiarare che il Festival non segue più le esigenze del pubblico e che c'è bisogno di far diventare questo evento una "festa", significa innanzitutto non riconoscere il lavoro svolto da persone competenti, appassionate e attente all'evoluzione del gusto queer. Persone che per anni (8 Cosimo Santoro, 7 Davide Oberto, 6 Ricke Merighi) sono state capaci di organizzare una programmazione equilibrata, su tre sale, dando lo spazio necessario a ogni tipo di proposta e tenendo ben presente che il pubblico non è un'entità astratta, ma è composto da tante diverse anime. Attraverso le scelte dei film e cercando di portare diversi ospiti (molti dei quali senza il nostro impegno difficilmente avrebbero fatto parte del Festival) abbiamo cercato di creare un evento complesso, giocoso e culturalmente pregnante, nel tentativo di farlo crescere soprattutto a livello sociale e politico, oltreché artistico e di avvicinarlo anche alle nuove generazioni. Ci sembra che queste scelte siano state vincenti, dato il costante incremento di spettatori, di interesse e di affetto generale per una manifestazione che viene ormai ritenuta dalla comunità internazionale come la più importante a tematica lgbt.
In secondo luogo, fare queste affermazioni, compresa quella secondo cui noi abbiamo rappresentato una perturbazione dell'ordine gestionale del Festival, rivela una contraddizione indicativa: il direttore ha sempre vidimato le nostre scelte artistiche, ha sempre controllato la programmazione e partecipato alla selezione dei film; quindi, laddove certe scelte non fossero state condivise, avremmo preferito un confronto sensato in fase di organizzazione e non delle dichiarazioni postume, che francamente non hanno nessun fondamento e che sembrano voler nascondere altre ragioni. Così come ci chiediamo dove fosse il direttore mentre “distruggevamo” l'ordine gestionale del Festival in questi anni. Nel corso delle 24 edizioni, validi e stimati collaboratori del direttore ci hanno preceduto (tra tutti ci piace ricordare Stefano Francia, Marina Ganzerli, Luca Andreotti) e sempre il Festival è cambiato grazie al loro intenso lavoro, solo il direttore non è cambiato mai.
[...] Abbiamo l'impressione che lo scivolamento del Festival in “festa” espliciti un'opinione paternalista e poco lusinghiera dei pubblici che affollano il Festival. Quando Ottavio Mai e Giovanni Minerba hanno fondato il Festival, hanno proposto con coraggio e determinazione un cinema in Italia poco conosciuto e decisamente poco popolare (Fassbinder, Ken Russel, Derek Jarman e poi Gus Van Sant, per citare alcuni grandi registi). Con gli stessi film che Mai e Minerba insieme realizzarono hanno tentato di rappresentare e dare vita a un immaginario che al cinema allora non trovava spazio. Non son più quegli anni, il pubblico è cambiato, ma secondo noi il Festival deve continuare a proporre immaginari e immagini anche e non sempre popolari, se ritiene di essere ancora un momento di diffusione e discussione della cultura. Non ci stiamo a essere considerati dei fautori di scelte élitarie (tra l'altro contraddette dalla continua crescita di pubblico degli ultimi anni) e siamo convinti che il concetto di “cinema popolare” nasconda poca considerazione per gli spettatori del Festival che sono molto più intelligenti e disposti a lasciarsi sorprendere dal cinema di quanto qualcuno pensi. Ricordiamoci che a Torino c'è una lunga tradizione di frequentazione dei festival e dei cineclub!
Dichiarare che il Festival non segue più le esigenze del pubblico e che c'è bisogno di far diventare questo evento una "festa", significa innanzitutto non riconoscere il lavoro svolto da persone competenti, appassionate e attente all'evoluzione del gusto queer. Persone che per anni (8 Cosimo Santoro, 7 Davide Oberto, 6 Ricke Merighi) sono state capaci di organizzare una programmazione equilibrata, su tre sale, dando lo spazio necessario a ogni tipo di proposta e tenendo ben presente che il pubblico non è un'entità astratta, ma è composto da tante diverse anime. Attraverso le scelte dei film e cercando di portare diversi ospiti (molti dei quali senza il nostro impegno difficilmente avrebbero fatto parte del Festival) abbiamo cercato di creare un evento complesso, giocoso e culturalmente pregnante, nel tentativo di farlo crescere soprattutto a livello sociale e politico, oltreché artistico e di avvicinarlo anche alle nuove generazioni. Ci sembra che queste scelte siano state vincenti, dato il costante incremento di spettatori, di interesse e di affetto generale per una manifestazione che viene ormai ritenuta dalla comunità internazionale come la più importante a tematica lgbt.
In secondo luogo, fare queste affermazioni, compresa quella secondo cui noi abbiamo rappresentato una perturbazione dell'ordine gestionale del Festival, rivela una contraddizione indicativa: il direttore ha sempre vidimato le nostre scelte artistiche, ha sempre controllato la programmazione e partecipato alla selezione dei film; quindi, laddove certe scelte non fossero state condivise, avremmo preferito un confronto sensato in fase di organizzazione e non delle dichiarazioni postume, che francamente non hanno nessun fondamento e che sembrano voler nascondere altre ragioni. Così come ci chiediamo dove fosse il direttore mentre “distruggevamo” l'ordine gestionale del Festival in questi anni. Nel corso delle 24 edizioni, validi e stimati collaboratori del direttore ci hanno preceduto (tra tutti ci piace ricordare Stefano Francia, Marina Ganzerli, Luca Andreotti) e sempre il Festival è cambiato grazie al loro intenso lavoro, solo il direttore non è cambiato mai.
[...] Abbiamo l'impressione che lo scivolamento del Festival in “festa” espliciti un'opinione paternalista e poco lusinghiera dei pubblici che affollano il Festival. Quando Ottavio Mai e Giovanni Minerba hanno fondato il Festival, hanno proposto con coraggio e determinazione un cinema in Italia poco conosciuto e decisamente poco popolare (Fassbinder, Ken Russel, Derek Jarman e poi Gus Van Sant, per citare alcuni grandi registi). Con gli stessi film che Mai e Minerba insieme realizzarono hanno tentato di rappresentare e dare vita a un immaginario che al cinema allora non trovava spazio. Non son più quegli anni, il pubblico è cambiato, ma secondo noi il Festival deve continuare a proporre immaginari e immagini anche e non sempre popolari, se ritiene di essere ancora un momento di diffusione e discussione della cultura. Non ci stiamo a essere considerati dei fautori di scelte élitarie (tra l'altro contraddette dalla continua crescita di pubblico degli ultimi anni) e siamo convinti che il concetto di “cinema popolare” nasconda poca considerazione per gli spettatori del Festival che sono molto più intelligenti e disposti a lasciarsi sorprendere dal cinema di quanto qualcuno pensi. Ricordiamoci che a Torino c'è una lunga tradizione di frequentazione dei festival e dei cineclub!
Per leggere il testo integrale della dichiarazione:
Ribaltone al Festival gay "Da Sodoma a Hollywood"
Post precedenti su Moviem@tica:
Lettera aperta alla direzione del Torino GLBT Film Festival
Ribaltone al Festival gay "Da Sodoma a Hollywood"
Post precedenti su Moviem@tica:
Lettera aperta alla direzione del Torino GLBT Film Festival
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