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mercoledì 30 aprile 2008

Togliersi i sassolini da un paio di Manolo Blahnick...

[Uffici a confronto: quello reale della vera Anna Wintour
e quello cinematografico di Miranda Priestley ne Il diavolo veste Prada, Immagine da Oficina de Estilo]

Come regola di vita, per quanto io possa essere molto curiosa o interessata, non leggo mai un romanzo dal quale so che verrà tratto o è stato tratto un film: prima vado a vedere il film, poi leggo il romanzo.

Ottengo così molteplici risultati decisamente importanti:
- non mi incazzo per il travisamento spesso massiccio quando non assoluto a cui va incontro quasi sempre il materiale contenuto nel romanzo;
- mi diverto a leggere il romanzo scoprendo differenze, integrazioni, omissis, lapsus freudiani etc.;
- non mi incazzo per la pessima attribuzione dei ruoli ad attori che nulla hanno in comune con i personaggi del romanzo;
- mi diverto a fare un casting alternativo rispetto a quello proposto dalla pellicola, sia in senso migliorativo che peggiorativo;
- non mi incazzo per la stupidità, banalità, superficialità, inutilità e volgarità con cui pagine che ho magari amato vengono trasposte in modo becero su grande schermo nella speranza di divertire un altrettanto grande e spesso altrettanto becero pubblico;
- mi diverto a verificare quanto ci fosse di originale, innovativo, triviale o superfluo nel film rispetto al romanzo.

Finora, tale regola ha funzionato egregiamente e devo dire che non mi ha mai tradita. Non fa eccezione Il diavolo veste Prada, che è sorprendentemente migliore come film che come romanzo, con personaggi molto più vivi, verosimili e sfaccettati nonostante il romanzo si basi su persone realmente esistite e conosciute dall'autrice mentre il film è una libera rielaborazione del romanzo, con notevoli licenze che non svelerò perché potete trovarle ovunque.

Provincialismo, sciatteria narrativa, ripetitività e moralismo debordano nel romanzo mentre sono sapientemente dosati nel film; chi si è occupato del casting sapeva cosa stava facendo, nel barattare una biondina americana di origini ebree e cultura medio-bassa con una bruna Anne Hathaway più grintosa, determinata e brillante; la Miranda Priestley di carta basata su Anna Wintour è più monodimensionale e caricaturale dell'altrettanto insopportabile ma più intrigante e credibile Miranda Priestley di celluloide interpretata dalla meno filiforme - e solitamente mal vestita - Meryl Streep, grandiosa come sempre.

Prima di riportare il libro in biblioteca, un breve passo a vostro uso e consumo, tratto da p.371, che dimostra una volta di più come togliersi i sassolini dalle scarpe sia terapeutico, sano, a volte lucroso e piacevole ma non per questo permetta di scrivere un buon romanzo:

C'era un piccolo patio in pietra sul retro della casa, illuminato da candele bianche, e un violinista che suonava sullo sfondo. Sbirciai fuori. Riconobbi immediatamente Anna Wintour, strepitosa nell'abito sottoveste di seta color crema e nei sandali di Manolo Blahnick. Parlava animatamente con un tipo, probabilmente il suo fidanzato, ma gli occhiali da sole giganti di Chanel impedivano di capire se fosse divertita, indifferente o stizzita.
I giornalisti si divertivano a mettere a confronto le manie e i tic di Miranda e di Anna, ma per me era impensabile che al mondo potesse esistere qualcuno più insopportabile del mio capo.

Il diavolo veste Prada
di Lauren Weisberger
Casale Monferrato, Edizioni Piemme S.p.A. (2004), pp.416
isbn 88-384-8171-7

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