Ancora una volta (e come sempre una volta di troppo) grazie ai misteri della distribuzione italiana il titolo originale della terza regia di George Clooney, Leatherheads, che suona letteralmente come "teste di cuoio" e si riferisce ai caschi di sicurezza indossati durante le partite dai giocatori di football americano, è diventato inspiegabilmente In amore niente regole.
Instradato dal titolo lezioso, dai trailer rutilanti montati ad hoc e dalla pubblicità che promette una nuova versione di commedie romantiche come Accadde una notte oppure Susanna!, lo spettatore rimane ovviamente deluso, perché nell'economia narrativa della pellicola l'amore conta veramente poco e ancora meno contano le presunte regole alle quali dovrebbe o non dovrebbe obbedire.
Sono altre le regole a cui si fa riferimento, e precisamente quelle che negli Stati Uniti del 1925 fanno ordine per la prima volta nel caotico mondo del football professionistico, sorta di "terra di nessuno" in cui sono di casa la mancanza cronica di denaro e attrezzature, gli atleti arrivano dagli ambienti socialmente più negletti, i campi sono improvvisati e assomigliano a paludi fangose. Il rovescio della medaglia è il football giocato nei colleges esclusivi, in cui gli atleti sono ricchi ed eleganti, il pubblico è tanto e generoso, gli sponsor non mancano, la stampa segue con trepidazione ogni partita.
Per poter giocare ancora qualche tempo, l'ormai anziano Jimmy 'Dodge' Connelly, il personaggio interpretato da George Clooney, decide di creare un corto circuito tra due ambienti, due realtà, due modi di intendere lo sport, il divertimento, la competizione. Decide di applicare il marketing al campionato e si affida al rassicurante talento di Carter Rutherford, studente a Princeton ed eroe di guerra, per attirare le folle e quindi il denaro necessario per continuare a "giocare", sia in campo che nella vita.
Più denaro inizia a girare, maggiori diventano i controlli e più numerose le regole, portando a un vero e proprio regolamento scritto e alla nascita di una commissione governativa che vigila sui molteplici aspetti di uno sport che era a metà tra avventura goliardica e impresa eroica e diventa, sempre di più, una pura e semplice speculazione come mille altre. La partita finale e le minacce messe in atto per far sì che venga giocata in modo "pulito" secondo le regole, pena l'esclusione, segnano con evidenza la fine di un'epoca e l'inizio di un modo diverso di intendere il football.
La riflessione sulla natura dello sport, sul vendersi e lo svendersi, sull'adesione o meno allo spirito di corpo è condotta da Clooney in modo sottile e intelligente, grazie a una rievocazione elegante ma non banale degli anni Venti, ricchissima di citazioni cinematografiche e sonore che strizzano l'occhio allo spettatore colto e lo invitano a riconoscere i mille possibili "prestiti" presenti in pressoché ogni sequenza, da A qualcuno piace caldo a Intrigo internazionale, da Fratello, dove sei? a Il grande sonno, passando per Bull Durham e per i classici degli anni Trenta e Quaranta.
Come si può evincere da quanto detto finora, tempo per flirtare e innamorarsi ne rimane ben poco e arriviamo così alle note dolenti: se la colonna sonora è perfetta, i décors incantevoli e costumi e trucco davvero affascinanti, se Clooney è talmente adatto al ruolo da fornire allo spettatore il divertimento di poter decidere sequenza per sequenza se assomiglia di più a Clark Gable o a Cary Grant e anche al Cary Grant di un film piuttosto che di un altro, non si può dire altrettanto di Renée Zellweger, altrove molto brava e qui gonfia, smorfiosa, troppo legnosa ed evidentemente più anziana dei 31 anni dichiarati dal suo personaggio.
La sua Lexie Littlelton, cronista d'assalto dal capello biondo perfettamente acconciato, non ricorda che vagamente la grintosa Roxie Hart di Chicago e ancora meno la divertente Barbara Novak di Abbasso l'amore. La sua presenza appesantisce il film e sfilaccia il ritmo, annoiando ancora di più lo spettatore italiano, già mediamente annoiato a causa della sua ignoranza in materia di football americano.
Lungi dall'essere semplicemente una commedia romantica, il film rievoca con garbo e intelligenza una stagione molto particolare dello sport e della società statunitensi, finendo per parlare anche dei giorni nostri. Ma quanti sono gli spettatori in grado di cogliere, nei titoli di coda, il preoccupante legame tra la battuta finale di CC dedicata al baseball e la sua foto, ritoccata ad arte, tra i campioni di baseball Babe Ruth e Lou Gehrig?
Instradato dal titolo lezioso, dai trailer rutilanti montati ad hoc e dalla pubblicità che promette una nuova versione di commedie romantiche come Accadde una notte oppure Susanna!, lo spettatore rimane ovviamente deluso, perché nell'economia narrativa della pellicola l'amore conta veramente poco e ancora meno contano le presunte regole alle quali dovrebbe o non dovrebbe obbedire.
Sono altre le regole a cui si fa riferimento, e precisamente quelle che negli Stati Uniti del 1925 fanno ordine per la prima volta nel caotico mondo del football professionistico, sorta di "terra di nessuno" in cui sono di casa la mancanza cronica di denaro e attrezzature, gli atleti arrivano dagli ambienti socialmente più negletti, i campi sono improvvisati e assomigliano a paludi fangose. Il rovescio della medaglia è il football giocato nei colleges esclusivi, in cui gli atleti sono ricchi ed eleganti, il pubblico è tanto e generoso, gli sponsor non mancano, la stampa segue con trepidazione ogni partita.
Per poter giocare ancora qualche tempo, l'ormai anziano Jimmy 'Dodge' Connelly, il personaggio interpretato da George Clooney, decide di creare un corto circuito tra due ambienti, due realtà, due modi di intendere lo sport, il divertimento, la competizione. Decide di applicare il marketing al campionato e si affida al rassicurante talento di Carter Rutherford, studente a Princeton ed eroe di guerra, per attirare le folle e quindi il denaro necessario per continuare a "giocare", sia in campo che nella vita.
Più denaro inizia a girare, maggiori diventano i controlli e più numerose le regole, portando a un vero e proprio regolamento scritto e alla nascita di una commissione governativa che vigila sui molteplici aspetti di uno sport che era a metà tra avventura goliardica e impresa eroica e diventa, sempre di più, una pura e semplice speculazione come mille altre. La partita finale e le minacce messe in atto per far sì che venga giocata in modo "pulito" secondo le regole, pena l'esclusione, segnano con evidenza la fine di un'epoca e l'inizio di un modo diverso di intendere il football.
La riflessione sulla natura dello sport, sul vendersi e lo svendersi, sull'adesione o meno allo spirito di corpo è condotta da Clooney in modo sottile e intelligente, grazie a una rievocazione elegante ma non banale degli anni Venti, ricchissima di citazioni cinematografiche e sonore che strizzano l'occhio allo spettatore colto e lo invitano a riconoscere i mille possibili "prestiti" presenti in pressoché ogni sequenza, da A qualcuno piace caldo a Intrigo internazionale, da Fratello, dove sei? a Il grande sonno, passando per Bull Durham e per i classici degli anni Trenta e Quaranta.
Come si può evincere da quanto detto finora, tempo per flirtare e innamorarsi ne rimane ben poco e arriviamo così alle note dolenti: se la colonna sonora è perfetta, i décors incantevoli e costumi e trucco davvero affascinanti, se Clooney è talmente adatto al ruolo da fornire allo spettatore il divertimento di poter decidere sequenza per sequenza se assomiglia di più a Clark Gable o a Cary Grant e anche al Cary Grant di un film piuttosto che di un altro, non si può dire altrettanto di Renée Zellweger, altrove molto brava e qui gonfia, smorfiosa, troppo legnosa ed evidentemente più anziana dei 31 anni dichiarati dal suo personaggio.
La sua Lexie Littlelton, cronista d'assalto dal capello biondo perfettamente acconciato, non ricorda che vagamente la grintosa Roxie Hart di Chicago e ancora meno la divertente Barbara Novak di Abbasso l'amore. La sua presenza appesantisce il film e sfilaccia il ritmo, annoiando ancora di più lo spettatore italiano, già mediamente annoiato a causa della sua ignoranza in materia di football americano.
Lungi dall'essere semplicemente una commedia romantica, il film rievoca con garbo e intelligenza una stagione molto particolare dello sport e della società statunitensi, finendo per parlare anche dei giorni nostri. Ma quanti sono gli spettatori in grado di cogliere, nei titoli di coda, il preoccupante legame tra la battuta finale di CC dedicata al baseball e la sua foto, ritoccata ad arte, tra i campioni di baseball Babe Ruth e Lou Gehrig?
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