Kati Outinen è longilinea, bionda e sembra una ragazzina nonostante abbia 46 anni.
Ha qualcosa, nel modo di fare, di porsi e di sorridere che ti fa pensare che da un momento all'altro debba alzarsi per tornare nella propria aula scolastica. Ha le rughe, certo, e per una volta è rassicurante vedere una donna che non trasforma la propria pelle in plastica ultra-rigida per cancellare i segni del tempo. L'illuminazione della sala e i flash delle macchine fotografiche le "sparano" spesso la luce addosso, eppure appare chiara e luminosa di suo, come se fosse una sua dote naturale.
Indossa abiti casual dai colori chiari e ha i capelli lunghi, raccolti semplicemente in una coda di cavallo; non è particolarmente truccata né ingioiellata come tante attrici famose. E' stata premiata a Cannes e in altri festival internazionali per il suo lavoro, ma non si dà grandi arie né sembra a Torino per puro spirito di circostanza.
Parla un inglese semplice, pulito, si ferma spesso per trovare la parola giusta e per lasciare che le sue frasi vengano tradotte in italiano, in modo che il pubblico presente presso la Sala Tre del Cinema Massimo possa seguire agevolmente il suo racconto, dal quale traspare in modo evidente uno spiccato senso dell'ironia.
Gesticola, a volte. E si prodiga per spiegare agli spettatori che stanno per vedere Ombre in Paradiso (Varjoja paratiisissa, 1986) cosa significhi lavorare con un regista come Aki Kaurismäki, cosa abbia significato per lei e per i suoi colleghi prendere parte a film molto diversi tra loro ma segnati in modo inequivocabile da una personalità poliedrica come quella dell'estroso regista finlandese.
E' disponibile, attenta, pacata e allo stesso tempo hai sempre l'impressione che da un momento all'altro debba sorprenderti con un guizzo o una monelleria. Le faccio una domanda su Juha (id., 1999), un film che amo molto, e lei risponde raccontando cosa abbia comportato per lei interpretare "l'ultimo film muto del secolo scorso" e svelando molti aneddoti interessanti, a volte buffi a volte meno.
Al momento di congedarsi, per lasciarci alla visione di Ombre in Paradiso, in cui possiamo ammirare con curiosità un'altra Kati, più giovane di oltre vent'anni ma sempre longilinea, bionda e vestita in modo casual, si alza in piedi e accenna un inchino scherzoso.
Come nei migliori incontri, mentre applaudi hai la sensazione tangibile che avresti voluto farle altre mille domande e che a nessuna di queste avrebbe risposto in modo svogliato o standardizzato, tanto per rispondere.
Ha qualcosa, nel modo di fare, di porsi e di sorridere che ti fa pensare che da un momento all'altro debba alzarsi per tornare nella propria aula scolastica. Ha le rughe, certo, e per una volta è rassicurante vedere una donna che non trasforma la propria pelle in plastica ultra-rigida per cancellare i segni del tempo. L'illuminazione della sala e i flash delle macchine fotografiche le "sparano" spesso la luce addosso, eppure appare chiara e luminosa di suo, come se fosse una sua dote naturale.
Indossa abiti casual dai colori chiari e ha i capelli lunghi, raccolti semplicemente in una coda di cavallo; non è particolarmente truccata né ingioiellata come tante attrici famose. E' stata premiata a Cannes e in altri festival internazionali per il suo lavoro, ma non si dà grandi arie né sembra a Torino per puro spirito di circostanza.
Parla un inglese semplice, pulito, si ferma spesso per trovare la parola giusta e per lasciare che le sue frasi vengano tradotte in italiano, in modo che il pubblico presente presso la Sala Tre del Cinema Massimo possa seguire agevolmente il suo racconto, dal quale traspare in modo evidente uno spiccato senso dell'ironia.
Gesticola, a volte. E si prodiga per spiegare agli spettatori che stanno per vedere Ombre in Paradiso (Varjoja paratiisissa, 1986) cosa significhi lavorare con un regista come Aki Kaurismäki, cosa abbia significato per lei e per i suoi colleghi prendere parte a film molto diversi tra loro ma segnati in modo inequivocabile da una personalità poliedrica come quella dell'estroso regista finlandese.
E' disponibile, attenta, pacata e allo stesso tempo hai sempre l'impressione che da un momento all'altro debba sorprenderti con un guizzo o una monelleria. Le faccio una domanda su Juha (id., 1999), un film che amo molto, e lei risponde raccontando cosa abbia comportato per lei interpretare "l'ultimo film muto del secolo scorso" e svelando molti aneddoti interessanti, a volte buffi a volte meno.
Al momento di congedarsi, per lasciarci alla visione di Ombre in Paradiso, in cui possiamo ammirare con curiosità un'altra Kati, più giovane di oltre vent'anni ma sempre longilinea, bionda e vestita in modo casual, si alza in piedi e accenna un inchino scherzoso.
Come nei migliori incontri, mentre applaudi hai la sensazione tangibile che avresti voluto farle altre mille domande e che a nessuna di queste avrebbe risposto in modo svogliato o standardizzato, tanto per rispondere.
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