C’è un rischio che in queste ore va concretizzandosi nel “discorso pubblico” di giornali e tv. Che tutti, sotto l’impressione del successo del V-Day, si mettano a discutere del “potere di internet” e del “potere dei blog”, senza realmente sapere di cosa si tratta.
Non c’è alcun dubbio che il blog di Beppe Grillo sia stato e resti la leva possente della sua capacità di mobilitazione. E a stretto rigore non è neanche vero che “tutti” lo abbiano (e lo abbiamo) ignorato, ognuno parli per sé. La domanda giusta è: quante sopracciglia di intellettuali e commentatori, di redattori capo e analisti dei media si sono inarcate davanti al tema del “potere di internet” quando Grillo non era ancora un leader di massa? Molti: erano scettici, non ci credevano, ma solo perché misuravano l’acqua con il metro, invece che con la scala dei liquidi, valutavano il mezzo internet con il metro degli altri media.
Ora si commette un errore diverso e più ampio: si riconosce ad internet un potere perché uno solo ce l’ha fatta, ignorando la “macchina sociale” che c’è sotto. Il che non sarebbe grave, se questa “macchina” non contenesse i modi di pensare, di manifestarsi e di agire di una opinione pubblica, cioè nostri, che diventa sempre più ampia e potente.
Detta in poche parole - ma ognuno dovrebbe sentirsi motivato ad appofondire - l’internet del 2007 (o web 2.0) è un “posto” che qualcuno ha giustamente chiamato “la parte abitata della rete”. No, non c’entra Second Life, un altro abbaglio da sopravvalutazione di noi giornalisti, che siamo regolarmente abituati a scambiare una parte per il tutto, pensando che la parte lo rappresenti e spieghi. Il punto è che dentro la rete si svolge, su base quotidiana, serenamente, normalmente, la seconda vita di una parte crescente di noi, dove i rapporti e la vita sono quelli di oggi, “amori liquidi” e sentimenti forti. E questo non ha niente a che fare con l’internet come la conoscemmo dieci o undici anni fa. Per la verità già allora esistevano i gruppi di discussione, le chat, le liste di distribuzione tematiche, dove avvenivano cose buone - la solidarietà, l’approfondimento specialistico - e cose peggiori (i gruppi razzisti, per esempio), come sempre avviene nelle cose umane. Un posto dove c’erano discussioni costruttive e altre distruttive.
Il massimo della vita allora, dieci anni fa, era pagare una bolletta on line o comprare un libro in America. E mentre noi perdevamo il nostro tempo a dire che lo sboom delle borse di inizio secolo era la fine di quell’illusione chiamata internet, nasceva, non notata, tutta la seconda generazione di quel “primo inizio”. Nascevano strumenti tecnologici che sono in realtà forme di espressione umana fondate sul dialogo, dove il dialogo era reso possibile dal fatto che il mio testo poteva “parlare” col tuo, “linkarsi”, dirsi che ci stavamo ponendo le stesse domande, e i nostri testi insieme diventare una sorta di onda che toccava altri siti e altre persone. Dove tutto questo poteva essere ricombinato insieme in forme di auto-editoria, cioè di libertà di espressione ignote al mondo come lo abbiamo conosciuto finora. Ora che è arrivata l’onda anomala, sarebbe il caso di chiedersi qual è la fisica che l’ha provocata.
Una delle leggi di fondo che la reggono è che siamo tutti cicale che cantano la propria canzone, anche se possiamo dare l’impressione di essere un coro uniforme. Ma quando c’è un fatto che “prende”, magari lo scandalo della morte di un ragazzo che nessuno indaga e investiga (è successo), allora le mie tre righe sono riprese dalle sue sei righe e quindi c’è un altro che aggiunge altre righe e ripubblica e poi succede ancora e ancora e ancora. Il passaparola ha conquistato il potere di fare eco, e quell’eco sta scuotendo i palazzi dei media e i ponti della comunicazione tradizionale.
La capacità di Grillo è stata quella di aver capito che quel canto era un nuovo pubblico e un nuovo inizio per un artista che era stato emarginato dai circuiti che contano. Oggi lui si propone alle cicale come la migliore di loro, ma l’onda che lo porta è un’onda possente e nessuno può sapere se vincerà l’anima degli individui (e quindi la capacità critica) o se con internet abbiamo scoperto un nuovo modo di farsi della manipolazione. A Grillo è toccato di vivere in prima persona un “leading case” forse planetario, perché fenomeni di questa intensità non se ne sono ancora conosciuti nemmeno negli Stati Uniti.
Nessuno, nemmeno quelli che studiano la rete, può ancora valutare l’energia che potrà muovere, soprattutto perché ormai la scintilla del raccordo col reale è scoccata e qui la rete si ritira, entrano in scena gli altri mezzi e il mulino di parole della politica. Ma la fisica dei primi tempi, dell’ascesa del movimento e della nascita di un leader, è stata quella dei “meme” e del passaparola: abituatevi a questi termini, potrebbe succede ancora molte volte. E quella della “conversazione” diventare la grammatica della comunicazione di massa, che da queste parti significa “fra gli individui”, di questi anni.
Non c’è alcun dubbio che il blog di Beppe Grillo sia stato e resti la leva possente della sua capacità di mobilitazione. E a stretto rigore non è neanche vero che “tutti” lo abbiano (e lo abbiamo) ignorato, ognuno parli per sé. La domanda giusta è: quante sopracciglia di intellettuali e commentatori, di redattori capo e analisti dei media si sono inarcate davanti al tema del “potere di internet” quando Grillo non era ancora un leader di massa? Molti: erano scettici, non ci credevano, ma solo perché misuravano l’acqua con il metro, invece che con la scala dei liquidi, valutavano il mezzo internet con il metro degli altri media.
Ora si commette un errore diverso e più ampio: si riconosce ad internet un potere perché uno solo ce l’ha fatta, ignorando la “macchina sociale” che c’è sotto. Il che non sarebbe grave, se questa “macchina” non contenesse i modi di pensare, di manifestarsi e di agire di una opinione pubblica, cioè nostri, che diventa sempre più ampia e potente.
Detta in poche parole - ma ognuno dovrebbe sentirsi motivato ad appofondire - l’internet del 2007 (o web 2.0) è un “posto” che qualcuno ha giustamente chiamato “la parte abitata della rete”. No, non c’entra Second Life, un altro abbaglio da sopravvalutazione di noi giornalisti, che siamo regolarmente abituati a scambiare una parte per il tutto, pensando che la parte lo rappresenti e spieghi. Il punto è che dentro la rete si svolge, su base quotidiana, serenamente, normalmente, la seconda vita di una parte crescente di noi, dove i rapporti e la vita sono quelli di oggi, “amori liquidi” e sentimenti forti. E questo non ha niente a che fare con l’internet come la conoscemmo dieci o undici anni fa. Per la verità già allora esistevano i gruppi di discussione, le chat, le liste di distribuzione tematiche, dove avvenivano cose buone - la solidarietà, l’approfondimento specialistico - e cose peggiori (i gruppi razzisti, per esempio), come sempre avviene nelle cose umane. Un posto dove c’erano discussioni costruttive e altre distruttive.
Il massimo della vita allora, dieci anni fa, era pagare una bolletta on line o comprare un libro in America. E mentre noi perdevamo il nostro tempo a dire che lo sboom delle borse di inizio secolo era la fine di quell’illusione chiamata internet, nasceva, non notata, tutta la seconda generazione di quel “primo inizio”. Nascevano strumenti tecnologici che sono in realtà forme di espressione umana fondate sul dialogo, dove il dialogo era reso possibile dal fatto che il mio testo poteva “parlare” col tuo, “linkarsi”, dirsi che ci stavamo ponendo le stesse domande, e i nostri testi insieme diventare una sorta di onda che toccava altri siti e altre persone. Dove tutto questo poteva essere ricombinato insieme in forme di auto-editoria, cioè di libertà di espressione ignote al mondo come lo abbiamo conosciuto finora. Ora che è arrivata l’onda anomala, sarebbe il caso di chiedersi qual è la fisica che l’ha provocata.
Una delle leggi di fondo che la reggono è che siamo tutti cicale che cantano la propria canzone, anche se possiamo dare l’impressione di essere un coro uniforme. Ma quando c’è un fatto che “prende”, magari lo scandalo della morte di un ragazzo che nessuno indaga e investiga (è successo), allora le mie tre righe sono riprese dalle sue sei righe e quindi c’è un altro che aggiunge altre righe e ripubblica e poi succede ancora e ancora e ancora. Il passaparola ha conquistato il potere di fare eco, e quell’eco sta scuotendo i palazzi dei media e i ponti della comunicazione tradizionale.
La capacità di Grillo è stata quella di aver capito che quel canto era un nuovo pubblico e un nuovo inizio per un artista che era stato emarginato dai circuiti che contano. Oggi lui si propone alle cicale come la migliore di loro, ma l’onda che lo porta è un’onda possente e nessuno può sapere se vincerà l’anima degli individui (e quindi la capacità critica) o se con internet abbiamo scoperto un nuovo modo di farsi della manipolazione. A Grillo è toccato di vivere in prima persona un “leading case” forse planetario, perché fenomeni di questa intensità non se ne sono ancora conosciuti nemmeno negli Stati Uniti.
Nessuno, nemmeno quelli che studiano la rete, può ancora valutare l’energia che potrà muovere, soprattutto perché ormai la scintilla del raccordo col reale è scoccata e qui la rete si ritira, entrano in scena gli altri mezzi e il mulino di parole della politica. Ma la fisica dei primi tempi, dell’ascesa del movimento e della nascita di un leader, è stata quella dei “meme” e del passaparola: abituatevi a questi termini, potrebbe succede ancora molte volte. E quella della “conversazione” diventare la grammatica della comunicazione di massa, che da queste parti significa “fra gli individui”, di questi anni.
Vittorio Zambardino, Scene digitali, 9 settembre 2007
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