Ha compiuto 78 anni a febbraio ma non li dimostra.
Ospite del Museo Nazionale del Cinema di Torino in occasione di una retrospettiva dei suoi film, si presenta all'incontro con il pubblico della sala Uno del Cinema Massimo, accorso in massa per vedere La montagna sacra, vestito in modo sobrio ed elegante: camicia e pantaloni di taglio classico, capelli bianchi pettinati indietro, sorriso educato e gentile, si presta con disponibilità a farsi fotografare e firmare autografi, risponde alle domande del pubblico.
Alejandro Jodorowsky ha fama di essere pazzo, impulsivo, sanguigno. Anche chi non conosce i suoi film ne ha sentito parlare, per via del carattere particolare o delle innumerevoli attività artistiche. Nato in Cile da padre russo e madre argentina, si proclama cittadino del mondo e ribadisce, ancora una volta, il suo amore per la libertà in tutte le sue forme.
Raccontando la propria vita, l'incontro con personaggi straordinari, aneddoti spassosi e pittoreschi, la sua visione del cinema e del mondo, incanta la platea che applaude partecipe. Il ritmo è collaudato e trascinante, da grande affabulatore; Jodorowsky è un narratore carismatico e dal fascino magnetico e sa di esserlo: più di una volta il pubblico ride e annuisce, dimostrando a gran voce di gradire i suoi aneddoti, prima ancora che il traduttore finisca il proprio compito.
Nel congedarsi augurando buona visione agli oltre 450 spettatori presenti, non risparmia un ultimo colpo di coda: "A ogni proiezione del film, parte degli spettatori si allontana prima che il film finisca, con reazioni inconsulte. Questo mi fa sentire vivo e, nel caso nessuno spettatore del Massimo Uno lo faccia, sarò preoccupato".
La sala lo saluta ridendo, le luci si spengono, che la proiezione abbia inizio.
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